Il Musicoterapeuta come contenitore d’emozioni
di Alessandro Farruggio


La Worl Federation of Music Therapy (Federazione Mondiale di Musicoterapia) ha dato, nel 1996, la seguente definizione: “La musicoterapia è l’uso della musica e/o degli elementi musicali (suono, ritmo, melodia e armonia) da parte di un musicoterapeuta qualificato, con un paziente o un gruppo di pazienti, in un processo atto a facilitare e favorire la comunicazione, la relazione, l’apprendimento, la motricità, l’espressione, l’organizzazione e altri rilevanti obiettivi terapeutici. Tutto ciò al fine di soddisfare le necessità fisiche, emozionali, mentali, sociali e cognitive del paziente. La musicoterapia mira a sviluppare le funzioni potenziali e/o residue dell’individuo in modo tale che questi possa meglio realizzare l’integrazione intra e interpersonale e perciò possa migliorare la qualità della vita grazie a un processo preventivo, riabilitativo o terapeutico”.
Il compito più arduo di un musicoterapeuta è quello di riuscire ad instaurare un legame empatico con il paziente, sia esso normodotato sia esso affetto da disturbi psichiatrici. Il musicoterapeuta ha  due  importantissimi obiettivi da raggiungere nelle proprie sedute: il primo è quello  di diventare un mezzo attraverso il quale un paziente si apra e “tiri fuori” le proprie emozioni; il secondo, che è più importante, è quello di fungere da contenitore, restituendo positivamente le emozioni percepite inizialmente come negative dal paziente.

Nel mio percorso lavorativo svolto presso alcuni C.T.A, con pazienti psichiatrici adulti, ho avuto a che fare soggetti affetti da vari disturbi mentali, per lo più gravi. Dopo un periodo di osservazione sul paziente, incominciavo ad intervenire. L’uso degli strumenti  è essenziale, un musicoterapeuta deve essere, secondo la mia prospettiva teorica e il mio approccio metodologico, anche un musicista, meglio se musicista-polistumentista. Nelle sedute di musicoterapia per lo più si usa lo strumentario Orff, dunque strumenti con finalità percussiva; questo non significa che non si possano usare altri strumenti, fino a giungere all’utilizzo della musica elettronica. Tramite il computer, con vari programmi dedicati alla registrazione e alla composizione, sono riuscito a fare comporre dei piccoli brani ai pazienti schizofrenici. I risultati si sono rivelati positivi: l’autostima dei pazienti è aumentata e si è instaurato un legame empatico tra loro e me, insieme alla fiducia reciproca. Le crisi dei pazienti si sono ridotte grazie all’intervento della musicoterapia e a una buona, e non invasiva, terapia farmacologica (indispensabile in casi gravi come la schizofrenia, o altri disturbi legati alla psicosi). Fino ad oggi la figura del musicoterapeuta non è stata ben inquadrata in Italia: esistono associazioni, scuole di formazione, ma non esiste ancora un albo nazionale e il Ministero della Salute ancora non sa riconoscerne il giusto spazio e il suo valore, nei processi preventivi, riabilitativi e terapeutici.

 

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