Abbiamo bisogno della violenza (?),di Raffaele Auteri

Abbiamo bisogno della violenza (?),
di Raffaele Auteri

 

 

Abbiamo bisogno della violenza (?), di Raffaele Auteri

Inutile porre troppi riferimenti storici al Grand Guignol, storico teatro parigino divenuto noto per le rappresentazioni crude e macabre tra la fine dell’ottocento e i gli anni ’60 del novecento. Il teatro divenne nel giro di poco tempo noto in tutta la capitale, contando il tutto esaurito praticamente a ogni rappresentazione (complice la limitata capienza del teatro; soli 300 posti a sedere). Quello che maggiormente colpisce, guardando al passato, è constatare come, nonostante gli spettacoli fossero, per gli standard dell’epoca, veramente spinti si creò una sorta di pubblico fedele, di curiosi, che si addentravano in uno dei quartieri più scogniti di Parigi, inconsapevoli (o forse no) di quello che avrebbero visto. Numerosissimi i casi di svenimento e malessere fisico provocato agli spettatori, tanto da indurre il proprietario del teatro, Oscar Métenier, ad assumere un medico per ogni serata, pronto in evenienza a soccorrere i malcapitati. Il teatro, successivamente, perse d’interesse, principalmente per la grande ascesa del cinema horror e thriller, che inevitabilmente possedeva più richiamo dopo quasi settant’anni di opere teatrali. Molti, però, sostengono che la causa fu il passaggio da circa trent’anni di pace al triste capitolo della seconda guerra mondiale. Si pensa che un periodo ti tale atrocità abbia in qualche modo imposto un blocco nella mente degli spettatori. Quegli anni bui avrebbero sedato il bisogno, la curiosità, di esplorare un mondo fatto di suspance e orrore. Si era visto abbastanza. È proprio questo il punto su cui ci si dovrebbe forse soffermare, la tensione alla violenza nella vita dell’essere umano. Potendosi ricollegare, all’infinito forse, a tematiche quali l’uomo come puro animale, si può affermare che proprio nel regno animale la violenza è all’ordine del giorno. La legge del più forte che s’impone, quotidianamente, in un procedere all’insegna della sopravvivenza. L’uomo, per ovvie ragioni, è riuscito a superare questa condizione di brutalità gratuita, stabilendo, con i secoli, società sempre più pronte alla convivenza sociale. La tanto ambita pace che, in un certo senso, dovrebbe essere il caposaldo della vita sulla terra. Ciò non toglie che la violenza è sempre stata parte integrante dell’esistenza dell’uomo che, una volta autoimposto il rigore morale del preservare la vita propria e altrui, non è riuscito a fare a meno del macabro, nemmeno per il proprio svago ludico. Basti pensare ai gladiatori nell’antica Roma, ai martiri sbranati dai leoni, alle giostre medievali, ai roghi delle presunte streghe, le torture dell’inquisizione spagnola e via discorrendo. C’è da pensare che, forse, questo istinto animale, perduri nell’essere umano e che sia solo stato ammaestrato. Come un cucciolo a cui si insegna che deve fare i bisogni fuori da casa. Ma, in un modo o nell’altro, questo bisogno deve essere espulso. E forse lo scopo del Grand Guignol era proprio questo: dar vita a uno spazio in cui il macabro e la violenza erano il cardine dell’universo. La rappresentazione teatrale come rappresentazione di una vita mancata. Il bisogno, in un modo o nell’altro, di rendere la violenza parte integrante dell’uomo. Non c’è da meravigliarsi, allora, se accorrevano in molti al cruento spettacolo del Grand Guignol, assetati di quel sangue e quella violenza che la società non tollerava più, ma di cui, probabilmente non si poteva fare a meno. Non stupisce quindi come il cinema horror, specialmente nel genere splatter, abbia cavalcato l’onda prima come B movie, fenomeno di nicchia per pochi spavaldi (data anche la scarsa distribuzione), per poi affermarsi anche nel grande cinema moderno. La violenza che torna ad essere (quasi) pubblicamente accettata. Non ci si scandalizza più; l’ennesima opera piena di sangue, mutilamenti, atrocità. Ma è tutta finzione, lo sappiamo, e proprio per questo ci sta bene. Guardiamo a un autore come Bret Easton Ellis, che nel ’91 fece scalpore con il romanzo American Psycho. Patrick Bateman è, in questo senso, il granguignolesco per antonomasia. Un uomo ossessionato dalla violenza, dal bisogno impellente di esternare questo animo distruttivo e macabro, in risposta a una vita sempre più piena da lavoro e dinamiche sociali false e forzate, e quindi automaticamente sempre più vuota, non ponendosi limiti e, anzi, lasciandosi andare a un climax sempre più feroce e cruento. Violenza chiama altra violenza, come una goccia di sangue che attrae gli squali, pronti alla carneficina. Portata poi sul grande cinema di culto da autori come Tarantino e Rodriguez, la violenza è nella realtà, diventata oramai parte integrante della nostra quotidianità. Una testa mozzata, un arto amputato, fiumi di sangue, urla, tutto normale. Siamo forse arrivati a tal punto da non poter immaginare, una vita dove la violenza sia rinnegata e ricondotta a mero fatto casuale e occasionale. Telegiornali, giornali, anche semplici video su internet. Siamo bombardati di violenza, e la cosa non ci turba minimamente. Anzi, funziona in qualche modo da deterrente. Immersi nella violenza del mondo, ma a debita distanza, protetti (chissà per quanto) dalle mura di casa. Cullati e rincuorati dall’essere fortunati a non trovarsi lì. Rifugiati di guerra, profughi sui barconi, barboni uccisi per strada, criminali. Siamo nell’occhio del ciclone. Abbiamo alzato un muro di vetro, così possiamo continuare ad apprezzare la violenza, a guardare il nuovo scandaloso video di un ragazzo di colore picchiato a sangue o di una decapitazione da parte di un gruppo di terroristi. E non prendiamoci in giro, la violenza, nella storia del mondo, c’è sempre stata e sempre ci sarà, perché forse è proprio vero che non siamo altro che animali. La cosa che spaventa è che più andiamo avanti, più fondamentalmente torniamo indietro. La violenza che ci era stata proposta per troppi anni era finta, piacevole alla vista, dava quella scarica di adrenalina, quel bisogno di sangue di cui forse non possiamo fare a meno, per diverse ragioni. Ora però abbiamo superato anche quello. Adesso è tutto vero, tutto reale, e piuttosto che guardare un film dell’orrore o leggere una storia macabra preferiamo restare fermi davanti a uno schermo a guardare senza problemi il video di un terrorista che entra in una sala concerti con un fucile e compie una strage, come se nulla fosse, perché loro erano là, ma noi no. Ed è questo, invece del sangue, che dovrebbe fare più paura. I telegiornali sono il nostro nuovo colosseo. Ora sedetevi e godetevi lo spettacolo.

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