Tempo fa, per comodità e curiosità, mi sono iscritto a un gruppo dedicato all’horror estremo su un social network. Era più un modo per rimanere aggiornato sui titoli e per rintracciare pellicole weird e underground che per discorrere di cinema, ovviamente. Ora, siccome il gruppo tratta anche di quelle pellicole note come shockumentary, un giorno un incauto ed entusiasta frequentatore ha postato un filmato che – grazie alle strane impostazioni del social network in questione – è partito da solo sul mio schermo mentre parlavo del Premio Tenco con un amico musicista (per me l’orrore è sentire tutte quelle vocali aperte, con buona pace di Conrad, Coppola e Brando). Nel video, dei corpi agonizzanti si muovevano appena in pozze di sangue venoso e arterioso (in pochi film viene fatta questa distinzione), poi a uno veniva mozzato il capo e a un altro cavati gli occhi con un coltello sottile. Il tutto pareva appartenere al filone found-footage, perché sembrava ripreso con un cellulare. Sulle prime ho pensato agli sviluppi dell’estetica di un Fred Vogel e al suo August Underground (interessante grado zero del torture porn, forte solo di effetti speciali credibili e di un’assenza di intreccio che mantiene ciò che promette), poi ho letto la didascalia: si trattava di un filmato autentico, relativo ad una rivolta carceraria avvenuta in Brasile. Prima che si scatenassero le polemiche sul fatto che la realtà non vada spettacolarizzata o fruita come spettacolo, che le immagini erano troppo forti per essere pubblicate e che in effetti non ci sono ragioni al mondo per assistere a un tale spettacolo, ammesso che non si sia dei fuorilegge amanti dello snuff, ho provato a dire la mia. Senza guardare le immagini una seconda volta. La prima cosa che mi è sembrato di poter notare – a parte il fatto che il tutto non portava in alcun modo un accrescimento della mia consapevolezza rispetto alla crudeltà e bestialità umana, non più di quanto le altrettanto insostenibili immagini dei pulcino tritati vivi postate da solerti animalisti abbiano fatto di me un vegetariano – è che il sangue della decapitazione era poco, rispetto a quello che si vede nei film cui fa riferimento quella comunità di appassionati. Subito un sapientone mi ha risposto che infatti l’horror non vuole essere realistico, poi un altro ha aggiunto che trattandosi di persone appena morte o in agonia, dovevano avere la pressione bassa per motivi fisiologici. A questo punto avrei voluto dire che avendo scritto per anni, in un passato remoto, di estetica cinematografica, so bene la differenza tra realtà, realismo e iper-realismo. E anche che il corpo molle, violentabile, vulnerabile, sanguinolento, colorato dello splatter, diciamo dagli anni Ottanta in poi, non è stato altro che un modo per disinnescare dall’interno la bomba stessa: il dolore passa dall’allusione, l’orrore passa dall’immaginazione, e più si esagera, più il grafico rende la violenza divertente e liberatoria. E l’exploitation confonde infine la denuncia con lo spettacolo, anche nei documentari, la morbosità dell’occhio con lo sguardo critico. Mi veniva in mente la pretestuosa polemica contro i mondo movie del Deodato di Cannibal Holocaust, con tanto di ingenua retorica (“chi sono i veri selvaggi?” Ma noi, mio caro Ruggero, siamo i cannibali della visione e tu lo sai quando aggiungi per puro maledettismo le torture reali e gratuite sugli animali… eppure io il film lo posseggo in edizione Deluxe, anche se ne trovo deprecabile la filosofia). Mi veniva in mente ciò che scriveva Baudrillard sulla pornografia nel suo saggio sulla seduzione… Ma poi il video è stato giustamente rimosso e io ho avuto altro da fare. Il Grand Guignol, in pratica, ha perso vincendo. Non solo per la desensibilizzazione da iper-esposizione, ma anche per il ritorno impossibile all’idea di realtà. È un po’ quello che scrivevo sul numero scorso a proposito del DADA. Temo di essere ripetitivo, perciò la smetto qua.